Condivisione delle terapie

Una volta fatta la diagnosi, questa va comunicata al paziente. Di pari passo lo si mette al corrente di quello che sarà l’iter delle terapie: si delineano le varie fasi per arrivare ad una condivisione del percorso. Come si procede?
Ci risponde il chirurgo Ivano Sironi, che opera le donne con un tumore al seno.

Per arrivare a questo bisogna avere chiaro nella mente tutti gli aspetti da tenere in considerazione. Prima di tutto non bisogna mai dimenticarsi che la comunicazione della diagnosi di tumore alla mammella crea uno sconvolgimento emotivo. E’ uno dei maggiori eventi stressanti che una donna può trovarsi ad affrontare. Minaccia il benessere, le sue sicurezze e quelle dei familiari. Avere un tumore al seno significa perdere un equilibrio, significa vedere mutato il proprio modo di essere. La malattia è un ostacolo che si abbatte sulla vita e sulla realizzazione dei propri progetti. Tutto questo genera ansia, disorientamento, paura. Bisogna aiutare la paziente a fare fronte a tutto questo.

Come si realizza?

Quello che noi medici dobbiamo fare è integrare il rigore scientifico della medicina con la necessità di comprendere quelli che sono i bisogni umani di chi si trova a vivere questa esperienza. C’è un problema, ma allo stesso tempo bisogna fare presente che esistono delle soluzioni e che il medico è qui per metterle in atto. In pratica bisogna prendere la paziente per mano per condurla in questo percorso con empatia e complicità. Solo così si può instaurare un legame vero tra medico e paziente che porti ad essere partecipe del percorso di cura per affrontarlo al meglio grazie alla condivisione delle terapie.

Quando si inizia a costruire questa condivisione?

Dalla prima visita, le basi per questa empatia si gettano sin da questo primo contatto. Perciò, in questo primo colloquio, ci deve essere tutto il tempo necessario per spiegare la situazione in maniera approfondita con chiarezza e con termini semplici, lasciando spazio per far emergere tutti i dubbi e le ansie. Perché non va dimenticato che la mammella non è un organo come tutti gli altri, la mammella è l’emblema stesso della femminilità e della maternità. Proprio per questi aspetti simbolici, doversi sottoporre ad una mastectomia per una donna è oggettivamente molto diverso da ciò che può essere l’asportazione di un tratto d’intestino.

Se una volta esposto il percorso di cura il paziente vuole prendersi un po’ di tempo per pensarci su o per richiedere un’opinione differente?

Certamente questa è un’opzione del tutto legittima che va compresa e mai ostacolata. A volte siamo noi ad essere chiamati in causa come seconda opinione a volte è il contrario. Per noi non importa il dove, l’importante è che la paziente decida di farsi curare laddove ritenga che si faccia il meglio per lei. Anche questa è l’espressione di quella complicità fondamentale.

Il medico curante che ruolo ha in tutto questo? E i familiari?

Sicuramente il medico di base è una figura di riferimento nel percorso di cura che va informato della situazione e di ciò che si prospetta in termini di prognosi, terapie e follow up. Allo stesso modo i familiari sono degli interlocutori importanti. Il loro coinvolgimento dipende ovviamente dalla volontà della paziente, ma il loro grado di interessamento di solito è molto alto. È davvero difficile che la paziente non venga accompagnata già dalla prima visita.
"Curando la malattia si può vincere o perdere, ma curando la persona, garantisco la vittoria a prescindere dai risultati."
Patch Adams