Anselmo Bucci: “Sant’Antonio Abate”

Nel tamburo della cupola della chiesa dell’Annunciata sono disposte in cerchio 12 grandi vetrate rappresentanti santi taumaturghi o fondatori di ordini ospedalieri: personaggi che hanno dedicato tutta la loro vita ai malati. Tra queste vi è la vetrata di Anselmo Bucci (una delle poche opere monumentali dell’artista) che pur essendo all’epoca molto famoso (era stato chiamato come sostituto se qualcuno dei maestri dell’abside, Sironi, Salietti, Carpi, non avesse accettato l’incarico) fu “relegato” a una sola opera insieme ad altri 11 colleghi. La vetrata dedicata a S. Antonio Abate, Patrono degli Infermi (“Antonius Abbas pestilentiarum protector et sanator” prevenzione e terapia ante litteram…), per l’esiguità dello spazio disponibile, dominato dalla monumentalità dell’unica figura del santo, non permette particolari invenzioni espressive, ma il paesaggio sullo sfondo con un edificio “dechirichiano”, di grande prospettiva, è di eccezionale effetto. Inoltre i due libri che il santo tiene in mano con i loro accesi colori rossi (un po’ fauves), risaltanti sul mantello bianco, ricordano la pittura “libera” di Parigi, città dove Bucci aveva soggiornato per molti anni nella giovinezza.
Enrico Magliano

Biografia dell’artista

Anselmo Bucci nasce nel 1887 a Fossombrone, nelle Marche. Terminati gli studi classici a Venezia, si trasferisce a Monza nel 1904 ed inizia a frequentare l’accademia di Brera a Milano. Nel 1906 si trasferisce a Parigi dove la vita “più che di pane si nutre di incontri”: Picasso, Modigliani, Utrillo, e altri ancora. Ottiene notevoli apprezzamenti per la grafica anche in Italia, con la sua prima mostra al museo della Permanente. Quando scoppia la I guerra Mondiale, Bucci si arruola nel famoso Battaglione dei Ciclisti insieme ai Futuristi Boccioni, Sironi, Funi e Dudreville (suo grande amico). Nel 1922 abbandona la vita parigina e rientra in Italia, dove dà vita al gruppo “Novecento italiano”, cui partecipano la maggior parte del Battaglione Ciclisti tranne Boccioni che era morto per una caduta da cavallo nel 1916. Iniziano, grazie anche all’amicizia della critica d’arte Margherita Sarfatti, importanti riconoscimenti con l’esposizione alla Biennale di Venezia, la vincita della medaglia d’oro per la pubblica istruzione e la vincita del premio Viareggio. La commissione dell’opera per l’ospedale di Niguarda gli viene pertanto fatta in un momento di massimo riconoscimento internazionale, per questo era anche stato nominato “sostituto” in caso di impossibilità a partecipare di uno degli altri candidati pittori. Nel dopoguerra, ritornato a Monza, fonda la Società degli Indipendenti e si dedica all’arte sacra vincendo il primo premio all’Angelicum di Milano. Muore a Monza nel 1955. L’anno successivo la Biennale di Venezia gli dedicherà una retrospettiva con 48 opere.

Approfondimenti

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