Arturo Martini: il Gruppo degli Sforza

Attraversando l’ampio piazzale antistante all’ingresso monumentale di Niguarda compaiono, quasi come muti custodi, due suggestivi gruppi marmorei: a sinistra la scultura di Arturo Martini e a destra quella di Francesco Messina. Cerchiamo di decifrare il messaggio storico che tali opere contengono e sottolinearne l’eccezionale valore artistico. Il gruppo scultoreo di Arturo Martini raffigura i Duchi della Milano quattrocentesca (Francesco Sforza e Bianca Maria Visconti) nell’atto di donare al Papa (Pio II Piccolomini) il bozzetto dell’erigenda Ca’ Granda e vuole rappresentare un filo ideale di continuità storica tra l’ospedale Maggiore medioevale e il Niguarda di oggi. Arturo Martini gioca sulla plasticità dei tre personaggi che “recitano” non con una gestualità teatrale, ma si presentano maestosi, disposti frontalmente, guardando nell’infinito, senza dialogo, presentando il bozzetto della Ca’ Granda non al Pontefice, come vorrebbe il titolo dell’opera, ma come recita Elena Pontiggia, “consegnano il loro dono mecenatesco al giudizio dei secoli…”. L’interlocutore è la storia, non i singoli uomini. Arturo Martini che portò a termine l’opera tra il maggio del 1938 e il maggio del 1939 si impegnò moltissimo in questa realizzazione, in questa non ufficiale “gara” con l’amiconemico Francesco Messina. Scriveva alla moglie il 5 febbraio 1939: “Il gruppo mi pare venga bene…lavoro, lavoro, lavoro”. E tre giorni dopo si confida con l’amico Pinghelli: “Son stanco morto, non so se questo sarà il mio capolavoro”. In quest’opera Martini, atto a giocare sulla potenza metafisica delle masse dei personaggi, dedica un’attenzione particolare alla materia tanto da far saltare i blocchi di marmo con l’uso di petardi (es. sulla gonna di Bianca Maria Visconti) per ottenere effetti di scheggiature e rotture incontrollate e occasionali, anticipando di almeno 20 anni la scultura informale. Martini, inoltre, si è dimostrato inventore estroso e spregiudicato anticipatore anche nello scolpire il copricapo del pontefice più simile ad un cappello di peone messicano che alla mitra pontificale; lui stesso ironizza: “Ghe go messo un capeòn a la Pancho Villa” . Anche il “bozzetto” della Ca’ Granda nelle mani di Bianca Visconti non ricorda lo stile del Filarete ma piuttosto un tempio metafisico di De Chirico. Quest’opera può essere, a ragione, considerata una delle più affascinanti di Arturo Martini, “sovente annoverato come il maggior scultore italiano del Novecento” (Gillo Dorfles).
Enrico Magliano

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