LA POLIPOSI ADENOMATOSA FAMILIARE: colpa di un gene mutato

Un gene mutato che colpisce lì, nell’intestino, in particolare nel suo ultimo tratto: il colon retto. In questa sede le cellule “impazzite” proliferano senza controllo, formando dei veri e propri tappeti di polipi adenomatosi, “ospiti” quanto mai sgraditi e pericolosi in quanto precursori di futuri tumori. La FAP, Poliposi Adenomatosa Familiare, è una malattia su base genetica la cui incidenza, secondo il Registro dei Tumori, oscilla tra 1 caso ogni 8.000 e 1 caso ogni 20.000 nati. In Italia la casistica aumenta di circa 50 casi ogni anno.

Perché si possa parlare di sindrome occorre, per convenzione, che siano presenti almeno 100 adenomi nel colon-retto dei pazienti. Se i polipi sono meno di 100 si parla di Poliposi Familiare Attenuata (AFAP). Ma che si tratti di una forma avanzata o di uno stadio iniziale, il rischio è lo stesso e sta nell’evoluzione di malattia: i polipi, infatti, sono tumori benigni a forma di fungo, che nell’arco di 7-12 anni progrediscono inevitabilmente verso lo sviluppo di uno o più carcinomi colon-rettali. Una bomba ad orologeria, il cui timer s’innesca dalla nascita e la cui presenza si palesa già in età giovanile con la formazione dei primi polipi.

La parola a Claudio Grosso dell’Endoscopia Digestiva e Interventistica
 

La colonscopia consente la diagnosi della malattia e permette di riconoscere queste formazioni nel colon e nel retto. I nuovi protocolli prevedono che lo screening incominci già su pazienti con familiarità per FAP all’età di 10 anni con il test genetico, in alcuni casi, previo il consenso dei genitori, si può anticipare, iniziando già dai 6 anni. Una presa in carico precoce perché più la malattia è affrontata rapidamente più aumentano le probabilità di trovare neoplasie ancora benigne.
Sintomi tipici della malattia sono la presenza di sangue nelle feci e dolori addominali, ma molto spesso la FAP si accresce e si diffonde senza dare segni della sua presenza. La familiarità così diventa l’indizio su cui puntare per avere una diagnosi precoce.
I soggetti portatori di FAP hanno il 50% di probabilità di trasmettere la malattia a ciascuno dei propri figli. La malattia è determinata da un’alterazione a carico di un gene chiamato APC e si trasmette con il corredo genetico. Così attraverso un prelievo di sangue e grazie ad un apposito test genetico è possibile verificare, nei familiari di pazienti, se sono anche loro portatori della mutazione, consentendo di individuare la malattia prima della formazione dei polipi.
Anticipare per poter programmare i controlli clinici necessari, ma quando i polipi diventano troppo numerosi o le loro dimensioni superano il centimetro la rimozione endoscopica delle singole formazioni non basta più e l’unico trattamento salva-vita rimane l’intervento di asportazione del colon, con conservazione parziale o sostituzione del retto.
Dopo l’intervento chirurgico il paziente con Poliposi Familiare deve sottoporsi ad un’attenta sorveglianza praticamente per tutta la vita. Il principale obiettivo del follow-up è il controllo di ulteriori lesioni nel retto residuo (se non asportato), nel tratto gastroduodenale e nel piccolo intestino. Tratti del tubo digerente, questi, preservati dall’intervento, ma che in alcuni casi possono essere sede di nuove formazioni adenomatose.

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