Melanoma e linfonodo sentinella

Il melanoma cutaneo è una patologia che deriva dalla trasformazione tumorale dei melanociti, alcune delle cellule che formano la pelle.

In Italia i dati AIRTum (Associazione Italiana Registri Tumori) parlano di più di 12mila nuovi casi ogni anno e l’incidenza è in continua crescita.

Un’esposizione al sole controllata e la visita dermatologica per un check-up dei nei sono i principali baluardi su cui impostare la prevenzione. Il trattamento, poi, si snoda attraverso un percorso multidisciplinare che vede impegnati il dermatologo, l’oncologo, il chirurgo, gli specialisti dell’anatomia patologica e quelli della medicina nucleare.

La rimozione chirurgica è la terapia che offre maggiori chance di guarigione e in molti casi la biopsia del linfonodo sentinella può essere utile per intercettare tempestivamente la diffusione del tumore.

 

Di cosa si tratta?

Si chiama “sentinella” perché è il primo linfonodo ad essere interessato da una possibile metastasi: è un campanello d’allerta per capire se c’è stata un’eventuale diffusione del tumore.

Nel nostro corpo ci sono più stazioni linfatiche con diverse localizzazioni. Quindi il primo passo è individuare quella che drena la linfa dall’area interessata dal melanoma. Per esempio nel caso di un melanoma sull’arto superiore destro la stazione ghiandolare interessata, che a sua volta è composta da più linfonodi, si trova sotto l’ascella di destra. Nel caso della gamba sinistra la stazione è nella regione inguinale sinistra. Ad altre localizzazioni sulla superficie della nostra pelle corrispondono altre stazioni e non è sempre così facile individuarle, per farlo occorre un esame specifico.

Una volta individuato il melanoma questo viene asportato chirurgicamente. Si invia il campione all’anatomia patologica che lo analizza e ci fornisce le caratteristiche del caso. Quindi si procede con la linfoscintigrafia: nell’area di asportazione del melanoma viene iniettato un particolare tracciante radioattivo che aiuta ad individuare la localizzazione del linfonodo sentinella.

Nel giro di poco tempo il paziente viene portato in sala operatoria. Il chirurgo grazie a una sonda per la chirurgia radioguidata raggiunge il punto indicato e procede con l’asportazione del linfonodo. E’ un’operazione molto semplice. Si esegue in pochi minuti e si può fare anche con una semplice anestesia locale. Il campione prelevato viene inviato nuovamente all’anatomia patologica per sapere se ci sono cellule tumorali sul linfonodo oppure no.

Se il referto dell’esame è negativo si sa che quella stazione è indenne e si possono escludere con buone probabilità il rischio di metastasi. Se è positivo bisogna invece sottoporre il paziente ad un nuovo intervento. A questo punto si vanno a togliere tutti gli altri linfonodi che compongono quella stazione. Si cerca così di “tagliare la strada” alla diffusione del tumore.

Rispetto a 20 anni fa la biopsia del linfonodo sentinella consente un approccio più preciso e meno aggressivo. Prima infatti in caso di melanoma o anche di tumore alla mammella, si toglievano comunque tutti i linfonodi della stazione più vicina. Questo però può portare in seguito a delle difficoltà nel drenaggio della linfa: il liquido può accumularsi e causare un gonfiore all’arto, è il cosiddetto linfedema.

Non tutti i pazienti comunque si sottopongo alla biopsia: ci sono dei parametri che sono oggetto di continua revisione e dibatto a livello internazionale. Serve soprattutto per i tumori che si presumano essere in una fase iniziale. Uno dei parametri più significativi in questo senso è lo spessore del melanoma. Tra gli aspetti da tenere in considerazione c’è anche l’ulcerazione e la presenza di mitosi, un particolare indice di attività replicativa da parte delle cellule tumorali.

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