Paralisi di Bell colpisce il nervo facciale: cause e terapia

 Paralisi_di_Bell

La paralisi di Bell è così frequente che non risparmia neanche i vip, vittime illustri di questa forma di paresi che interessa il nervo facciale sono stati Pierce Brosnan, George Clooney, Katie Holmes, Angelina Jolie. Nel giro di pochissimo tempo (a volte mezz’ora!) insorge una paralisi che coinvolge metà del viso. Un angolo della bocca casca verso il basso, la fronte è distesa, la palpebra inferiore è rilassata e diventa impossibile chiudere l’occhio. Guardarsi allo specchio può essere traumatico.
E’ normale correre al pronto soccorso pensando a patologie gravi come un ictus.
Con l’aiuto del Direttore di reparto di Neurologia e Stroke Unit, scopriamo le cause della sindorme di Bell e la terapia per questa forma di paralisi facciale.


Il nervo facciale


Il nervo facciale decorre in un punto piuttosto delicato dietro l'orecchio per poi innervare i muscoli del volto. Così permette alla fronte di muoversi, alle palpebre e alla bocca di chiudersi e di sorridere. Controlla inoltre la salivazione e la lacrimazione.


La paralisi di Bell: le cause


Questo “meccanismo” così sofisticato può essere compromesso nel suo punto più delicato: il  passaggio dietro l’orecchio, dove lo spazio è minore. Qui infatti se il nervo si ispessisce e subisce una compressione, la trasmissione dei segnali nervosi non può più avvenire correttamente e si manifesta quindi la paralisi di Bell che blocca i muscoli del viso (paresi facciale). 


Paralisi di Bell: la terapia


Occorre rivolgersi subito ad un neurologo, per escludere altre patologie. La  paresi di Bell è causata quasi sempre da disturbi comuni dell’orecchio, come un’otite o un colpo d’aria, o l’Herpes Zoster, il virus che causa il “fuoco di Sant’ Antonio” e che può colpire anche l’orecchio. Le terapie per la paralisi di Bell  prevedono cortisone per trattare l’infiammazione, causa della compressione del nervo. A questo si associano vitamine del gruppo B per aiutare la rigenerazione del nervo stesso. La guarigione va dai venti giorni ad un massimo di due mesi.
 

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